Una nuova narrazione per virare a Sud

L’immagine del Sud Italia nel mondo trascina spesso con sé stereotipi e luoghi comuni, ma per fortuna questa è soltanto una parte della narrazione, perché il Mezzogiorno d’Italia esprime un grande valore legato alle straordinarie eccellenze che nei secoli hanno tramandato una tradizione culturale, artistica e imprenditoriale partendo proprio dalla piccola e media impresa. 

Giosy Romano è un avvocato di lungo corso, presidente del Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Napoli (ASI) e presidente della Confederazione Italiana per lo Sviluppo Economico (CISE).

Presidente, qual è la sua visione del Sud?

«La mia è una visione che muove da quanto realizzato negli ultimi anni, uno sguardo in prospettiva rispetto alla posizione geografica di profondo vantaggio occupata dal Mezzogiorno. Sotto l’aspetto delle attività produttive, i risultati degli ultimi anni hanno generato un’attenzione verso il territorio anche da parte di soggetti estranei al contesto nazionale, in ragione della possibilità di far emergere le caratteristiche naturali di questa parte d’Italia vocata alla centralità nel Mediterraneo e nel mercato internazionale. Ritengo ci sia un’oggettiva possibilità di attrarre gli investimenti a Sud, divenendo “trainanti” piuttosto che “trainati”».

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Qual è il punto di partenza nell’attività di promozione economica del territorio e quali sono gli obiettivi a lungo termine?

«Noi partiamo da un ossimoro: essere umilmente ambiziosi. A dire il vero questo approccio è diventato il nostro cavallo di battaglia, mettendo insieme diversi consorzi industriali, università come la Mercatorum e un grande centro di ricerca come Eurispes. In questo modo è nato il CISE – Confederazione Italiana per lo Sviluppo Economico, con l’obiettivo di favorire il collegamento fra imprese italiane allocate nell’area del mediterraneo». 

Cosa è stato fatto in questo periodo dal CISE?

«Penso innanzitutto al forum organizzato con l’Egitto e i vari governi nazionali dell’area del Mediterraneo, generando una nuova linea di sviluppo per le aziende. L’ambizione è mettere a sistema la macroregione del Mediterraneo, superando i confini politici per arrivare a quelli fisici dettati dal mare e, l’obiettivo, si sostanzia nella creazione di una grande Zes del Mediterraneo con l’impegno di ciascun soggetto, prescindendo dal luogo e unendo tutte le realtà che affacciano su questo specchio d’acqua».

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Il Mediterraneo rappresenta sicuramente una straordinaria opportunità di sviluppo, ma vi sono anche dei limiti?

«Il limite consiste nella visione miope di chi si affaccia in questo specchio di mare pensando di poter primeggiare come Stato, in qualità di unico attore e generatore di sviluppo. Il mio auspicio consiste nel superamento di tale limite, perorando una visione più ampia della costruzione di un percorso che prescinda dalla primogenitura. Operatori e imprese devono essere in sinergia fra loro per uno sviluppo concreto, pertanto occorre cambiare il modo di pensare tipico di noi meridionali ovvero quello di “essere guidati da qualcuno”. Si deve prendere coscienza della capacità di guidare, traendo spunto da chi lo fa quotidianamente nelle imprese, con l’energia e la professionalità dei vari operatori del settore».

Qual è la vera opportunità del Sud?

«Innanzitutto, la posizione geografica straordinaria. Ma la cosa più importante è quella di dare la possibilità a chi si forma nel Mezzogiorno di poter restare, considerando che gli eccellenti centri di formazione non mancano. Non bisogna per forza far tornare chi è andato all’estero, ma far funzionare l’infrastruttura immateriale più importante che c’è: quella delle risorse umane presenti sul territorio». 

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In che modo?

«In tal senso va corretta la narrazione di un Sud “piagnone” costantemente bisognoso di ombrelli dal governo centrale, ma non per questo assecondando la narrazione eccessivamente ottimistica. Serve moderazione e saper raggiungere il risultato prima di raccontarlo. Un esempio lampante deriva dalla percezione di legalità e sicurezza del territorio, dimostrando sul campo, a chi vuole investire, che è al sicuro. Lo abbiamo fatto certificando le aree industriali della Campania attraverso il Pon Legalità, con aree videosorvegliate a 360° sotto il profilo dell’intrusione fisica e ambientale, creando in questo modo un’isola felice dove le industrie che si insediano nei nostri territori si sentano protette. Azioni di questo tipo comportano una maggiore attrazione di investimenti e implementazione di quelli di multinazionali già esistenti sul territorio».

L’Italia è molto amata nel mondo. È un brand internazionale di grandissimo valore e il Sud è noto per le sue bellezze naturali, paesaggistiche e anche per lo sviluppo industriale. Negli Usa c’è tanta voglia di Italia e molti italo americani desidererebbero visitarla e anche investire. Che consiglio darebbe a tal proposito?

«La mia idea è che bisogna affiancare questa attrattività del brand con una semplificazione burocratica. Il turismo non va abbandonato ma coltivato e corroborato con ulteriori elementi, perché al territorio, dotato di una bellezza tangibile, possono essere unite azioni che forniscono certezza dei tempi d’investimento all’imprenditore che vuole collocarsi al Sud. Gli americani sono abituati a programmare un investimento, conoscendo la data certa della sua messa a terra. Se semplificazione burocratica e Zes riescono ad ancorare gli investimenti a regole e tempi certi, si può addirittura sortire un effetto di emulazione rispetto a coloro che riescono già a correre».

Dopo tutto questo lavoro che ha fatto per il Mezzogiorno, qual è il suo più grande desiderio?

«Vedere realizzate al Sud le cose che immagino».

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