Mamdani sembra mettere d’accordo (quasi) tutti

Alle primarie per la carica di sindaco di New York, la vittoria di Zohran Mamdani ha sorpreso molti osservatori, anche all’interno del Partito Democratico. Mamdani, deputato dello Stato di New York e attivista dichiaratamente di sinistra, ha superato l’ex governatore Andrew Cuomo con un margine significativo, nonostante le forti critiche ricevute per le iniziative promosse, come quella sugli autobus gratuiti, ma soprattutto per le sue posizioni sulla guerra a Gaza e sulla politica israeliana. Eppure il risultato, per quanto inatteso in certi ambienti, è frutto di un contesto elettorale che da tempo mostra segnali di cambiamento: la crescente centralità dei temi legati al costo della vita e una nuova sensibilità, soprattutto tra i giovani, rispetto alla questione israelo-palestinese.

Le aree della città dove Mamdani ha ottenuto il maggiore consenso non sono tradizionalmente associate a una specifica identità religiosa o etnica, ma piuttosto a un’elettorato giovane, multietnico, urbanizzato e progressista. In queste zone, come Park Slope o Prospect Heights, l’appoggio a Mamdani non è sembrato indebolito dalle polemiche sulla sua retorica antisionista. Al contrario, molti elettori ebrei hanno espresso sostegno alla sua candidatura, segnalando che le sue critiche a Israele erano coerenti con il loro pensiero e che non le percepivano come antisemite.

Zohran Mamdani, figlio della regista Mira Nair e cresciuto tra l’Uganda e New York, è diventato un nome noto nella sinistra cittadina: il suo programma elettorale ha toccato temi quali l’equità degli affitti, il trasporto pubblico gratuito e la giustizia economica. La sua candidatura ha raccolto consenso proprio su questi argomenti, che restano centrali per una larga parte della popolazione newyorkese, alle prese con l’aumento dei costi abitativi e servizi sempre meno accessibili.

Un elemento che ha contribuito a rendere più divisiva la candidatura di Mamdani è stato il fatto che le sue critiche a Israele siano arrivate in un momento di forti tensioni internazionali. La guerra a Gaza, iniziata quasi due anni fa, ha provocato decine di migliaia di morti, e ha intensificato il dibattito anche dentro la comunità ebraica statunitense. Alcuni dei principali quotidiani hanno descritto la sua vittoria come il segno di una frattura generazionale, più che ideologica: per molti under 30, il sostegno incondizionato a Israele non è più un criterio politico fondamentale.

Storicamente, New York ha sempre avuto un legame profondo con Israele, dovuto anche alla presenza della più grande comunità ebraica al di fuori dello Stato ebraico. Tuttavia, la composizione interna di questa comunità è molto variegata. I gruppi ortodossi, che tendono a essere più compatti elettoralmente, hanno votato in blocco per Cuomo. Ma tra gli ebrei non ortodossi, l’orientamento politico è molto più diversificato, con una crescente apertura a candidati che si esprimono in maniera critica sul governo israeliano.

Mamdani ha definito Israele uno “Stato di apartheid” e ha sostenuto il movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni), posizioni che in passato avrebbero compromesso irrimediabilmente una candidatura politica a New York. Oggi, invece, sono oggetto di un confronto interno, spesso acceso ma non più così univoco. Secondo alcuni analisti, ciò riflette anche un cambiamento nel modo in cui molti ebrei americani, in particolare progressisti, si rapportano con il concetto di sionismo e con la politica estera degli Stati Uniti.

A complicare il quadro c’è la percezione crescente, da parte di alcuni elettori e leader religiosi, che la retorica anti-israeliana possa contribuire a creare un clima ostile verso gli ebrei. Dopo la vittoria di Mamdani, il rabbino Marc Schneier ha paragonato la sua elezione a quella di Karl Lueger, il sindaco antisemita della Vienna di fine Ottocento che influenzò l’ascesa dell’ideologia nazista. È un paragone che molti considerano eccessivo, ma che testimonia la tensione che serpeggia in una parte della comunità ebraica americana.

Dopo le primarie, Mamdani ha avviato incontri con diversi esponenti religiosi e politici ebrei, compreso il deputato Jerrold Nadler, che lo ha sostenuto pubblicamente. Ha anche preso le distanze dallo slogan “Globalize the Intifada”, molto usato nelle manifestazioni pro-palestinesi, dichiarando di non averlo mai pronunciato e di non incoraggiarne l’utilizzo. Alcuni leader ebrei hanno accolto con favore questi segnali di apertura, altri però restano comunque scettici.

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