Una importante testata economica mi ha contattato per chiedermi cosa pensassi dell’annunciata acquisizione da parte di Ferrero della WK Kellogg società dei cereali da prima colazione che tutti conosciamo: quelli che 130 anni fa hanno inventato i Corn Flakes, per intenderci e che negli anni hanno generato un brand iconico in tutto il mondo.
E mentre continuiamo a occuparci di fatti nostrani importanti come l’imbarazzo di Tajani dopo il parere di Pier Silvio Berlusconi sullo ius scholae, per fortuna il mondo delle imprese procede nel cercare di creare valore e quindi benessere per la società. Dunque, succede che una azienda multinazionale italiana leader mondiale in molti segmenti, si avventuri in una nuova acquisizione negli USA in un momento così importante per la trasformazione dei mercati e soprattutto della food industry americana. Ecco il mio pensiero.
Ferrero-Kellogg: una colazione all’italiana che potrebbe cambiare l’America
Diciamolo subito: il gioco della sfera di cristallo diverte, ma non garantisce certezze. E in tempi come questi (con l’economia globale che cammina su un filo, i dazi che rispuntano come cattive abitudini, e i gusti dei consumatori che cambiano più in fretta delle mode su TikTok) fare previsioni su un’operazione da 3 miliardi di dollari è un esercizio che ha del mistico. Eppure, se la domanda è: “l’acquisizione di WK Kellogg da parte di Ferrero ha senso?”, la risposta, con tutti i distinguo del caso, è sì: molto senso. E forse anche un po’ di visione.
Ferrero, colosso italiano del dolce e marchio-mito della colazione continentale, punta dritta alla patria dei cereali iperprocessati e delle Froot Loops. WK Kellogg (nome iconico, ma azienda zoppicante dopo lo spin-oG dall’altro pezzo di Kellogg che nel frattempo ha cambiato nome in Kellanova tenendosi le barrette snack ed altri brand, ndr) rappresenta il cuore del breakfast americano, anche se oggi pulsa meno forte: calo delle vendite, margini in flessione e una reputazione che scricchiola sotto il peso dei coloranti artificiali e delle
campagne salutiste di un certo Robert F. Kennedy Jr., ora a capo della sanità americana con l’ambizioso mantra “Make America Healthy Again”.
Proprio per questo, chi meglio di Ferrero (europea, familiare, e già ben piantata negli Stati Uniti) può guidare la transizione verso un modello di alimentazione più equilibrato, senza buttare via 130 anni di storia?
Ferrero non improvvisa
Chi teme l’italiano sbarcato per caso nel Midwest, dimentica che Ferrero negli USA gioca da anni e vince: ha comprato il cioccolato Nestlé, i gelati Blue Bunny (Wells Enterprises), il produttore Fannie May. Ha costruito un impero dolciario d’oltreoceano con pazienza, coerenza e investimenti intelligenti.
E non è poco, in un mercato che ama i grandi numeri ma fatica a digerire i grandi cambiamenti. In questo senso, l’acquisizione di WK Kellogg è una mossa coerente: amplia la gamma, rafforza la distribuzione, aggiunge una categoria sinergica (colazione e snack) e offre un’opportunità culturale enorme. Perché se è vero che gli americani hanno una dieta spesso disfunzionale, è altrettanto vero che stanno cercando, tra sensi di colpa, nuove generazioni più consapevoli e farmaci per la perdita di peso, un’alternativa. E magari una guida.
Guidare la svolta salutista (senza perdere gusto)
La vera scommessa per Ferrero non è solo industriale o finanziaria. È culturale. WK Kellogg ha margini per essere ripensata: non cancellata, ma riformulata. Rendere “healthy-ish” i Corn Flakes non significa snaturare l’identità americana, ma rimetterla in carreggiata. Un processo lento, certo, che richiederà cambi di ricette, ripensamento dei formati, revisione dei messaggi e formazione interna. Ma chi, se non un’azienda che opera da decenni sotto i rigori normativi europei, può farlo?
In un mondo che si polarizza, l’idea che un’azienda europea possa diventare protagonista dell’evoluzione dell’industria alimentare americana è di per sé un messaggio potente. WK Kellogg, con la guida di Ferrero, può diventare un ponte tra due culture alimentari, trasformandosi da simbolo di eccessi zuccherini in case study di riconversione consapevole. Certo, non sarà una passeggiata. Le “calcificazioni” culturali e operative esistono all’interno di aziende che hanno persone e processi plasmati su un vecchio modello di fare impresa. E i risultati economici non arriveranno in un trimestre. Ma se guardiamo oltre il breve termine, questa operazione è un atto di fiducia nel potenziale trasformativo dell’industria alimentare, un colpo audace che unisce visione industriale e sensibilità sociale.
Non sappiamo se questa operazione sarà un successo clamoroso o un lungo cantiere. Ma se giudichiamo in base alla logica strategica, alla coerenza con la traiettoria di Ferrero e alla capacità di leggere i segnali del mercato, allora sì: acquisire WK Kellogg è una mossa intelligente, coraggiosa e perfettamente in linea con l’evoluzione del consumo globale.
E se domani gli americani inizieranno a leggere le etichette anche a colazione, magari sarà merito (anche) di un’azienda di Alba.
L’articolo Ferrero e gli iconici cereali americani proviene da IlNewyorkese.