Dall’Italia a New York sulle note di un pianoforte: intervista a Cristiana Pegoraro

Cristiana Pegoraro, pianista italiana rinomata a livello internazionale, ha suonato in alcune delle sale da concerto più prestigiose del mondo. Recentemente ha tenuto un concerto omaggio all’Italia presso la Basilica di Old St. Patrick’s Cathedral a New York, un evento che ha celebrato la cultura italo-americana attraverso un repertorio che spazia da Vivaldi a Morricone, fino a sue composizioni originali. In questa intervista, ci racconta il profondo legame con New York, la città che ha dato una svolta decisiva alla sua carriera, e riflette sull’importanza della musica come linguaggio universale, capace di veicolare messaggi profondi e di ispirare il pubblico, oltre a preziosi consigli per i giovani musicisti, che necessitano di perseveranza e umiltà per emergere nel panorama musicale attuale.

Il programma del concerto del 18 ottobre alla Basilica di Old St. Patrick Cathedral, come dice anche il nome della serata, è stato un omaggio all’Italia. Può raccontarci cosa ha significato per lei suonare in una location così iconica per la comunità italiana a New York e quale messaggio ha veicolato questo concerto?

Sono stata molto felice, onorata e anche emozionata di aver suonato alla Basilica di Old St. Patrick’s Cathedral, un luogo, come detto, così iconico per la comunità italiana a New York. Io sono italiana e sono venuta a New York molti anni fa per approfondire i miei studi musicali e per aprire nuovi orizzonti alla mia carriera concertistica.

Questo concerto ha voluto veicolare un messaggio importante, ovvero che ci sono stati tanti italiani che hanno lasciato il loro Paese, l’Italia, per cercare di costruirsi una vita qui in America, una vita di successo, migliore di quella che avevano. Molti di loro ci sono riusciti, ma attraverso grandi sacrifici, grandi sforzi, grandi lontananze. Penso a quanti hanno lasciato la famiglia per venire qui in un momento in cui non c’erano i cellulari, in un momento in cui si prendeva la nave e ci si metteva un mese per arrivare, per poi trovarsi in un paese straniero senza parlare la lingua… hanno affrontato tante difficoltà. Ma nel corso del tempo la comunità italiana si è fatta strada qui in America e soprattutto a New York: gli italiani sono stati veramente molto bravi ad affermarsi.

Questo concerto è stato un ricordo degli sforzi fatti, ma anche un’occasione per divulgare un repertorio musicale italiano ad ampio spettro, da ‘Le Quattro Stagioni’ di Vivaldi alla musica da film di Ennio Morricone, passando attraverso le canzoni napoletane e le mie composizioni originali, quindi un programma che abbraccia vari secoli e vari stili di musica. Importante dire che l’Italia è un Paese molto artistico, ha una grandissima storia, tradizione, cultura musicale, ed è quello che ho voluto condividere con questo programma.

Ha suonato in alcune delle più prestigiose sale da concerto al mondo, ma cosa rappresenta per lei New York? Come ha influenzato la sua carriera musicale?

Cosa rappresenta per me New York? New York e l’America per me erano un sogno. Ho studiato in Italia, mi sono laureata in pianoforte a 16 anni e ho lasciato l’Italia per andare a perfezionarmi in Austria e in Germania, per poi fare questo grande salto dell’Atlantico e approdare a New York. Ripeto, come un sogno, volevo venire via dall’Europa, provare delle esperienze diverse, aprire i miei orizzonti, cosa che ho fatto qui a New York. Questa meravigliosa città mi ha offerto tantissimo, anche dal punto di vista di conoscenze, persone che poi mi hanno aperto delle porte e mi hanno aiutato a far decollare la mia carriera a livello internazionale. Ho iniziato a fare concerti già all’età di dieci anni e prima di arrivare a New York avevo già fatto molte tournée all’estero, dal Sudamerica alla Germania e alla Russia, però l’input decisivo è venuto proprio da New York. Per me New York è stata – ed è tuttora – una città molto importante, perché ha sicuramente lanciato la mia carriera internazionale.

Oltre a interpretare brani classici, nei suoi concerti vi sono anche composizioni originali. Quali sono le emozioni o le storie che racchiude maggiormente nei suoi brani, e come si collegano alla sua esperienza come pianista?

Oltre a suonare il pianoforte, a me piace molto comporre, cosa che faccio in maniera molto spontanea. Le mie composizioni vengono proprio dal cuore. Per scrivere mi ispiro alla vita, mi ispiro ai viaggi, mi ispiro a tutto quello che mi fa crescere, a tutte le emozioni che posso provare vivendo. Quindi, quello che racconto attraverso le mie composizioni sono le mie esperienze di vita.

Le mie composizioni vogliono però anche trasmettere messaggi importanti come l’amore. Sapete, io sono di Terni, la città di San Valentino. A Terni riposano le spoglie del Santo nella Basilica a lui dedicata. Recentemente mi è stato conferito il titolo di Ambasciatrice di San Valentino nel mondo dal Centro Culturale Valentiniano e dalla città di Terni, e questo mi dà l’occasione di condividere ancora di più, attraverso la testimonianza dell’operato di questo Santo, un messaggio di Amore durante i miei concerti.

Ovviamente, un artista dovrebbe sempre essere bravo nel “comunicare” con il pubblico e condividere emozioni. Per fare ciò deve avere un ricco mondo interiore. Io credo che in questo senso sia molto importante viaggiare, conoscere altre culture, fare esperienze. Tutto ciò che io imparo e assimilo nella mia vita cerco di esternarlo attraverso le mie esecuzioni e soprattutto attraverso le mie composizioni. In particolare, nel programma che ho suonato ieri, ho incluso anche una mia composizione dal titolo ‘Sailing Away’, dedicata ad un immaginario viaggio per mare – mi piace definirla ‘il viaggio di un moderno Ulisse’ – che poi rappresenta il viaggio attraverso la vita. Questo ci riporta ai quei viaggi per mare fatti dagli emigranti che dall’Italia sono venuti qui in America. È questa una delle mie composizioni che amo di più suonare, perché la vita è un dono meraviglioso, da vivere al 100%.

È coinvolta in diversi progetti umanitari e collabora con organizzazioni come Unicef e Amnesty International. Come riesce a conciliare la sua carriera musicale con il suo impegno sociale, e qual è il ruolo della musica in queste iniziative?

Io credo che dovrebbe appartenere al ruolo dell’artista anche il condividere messaggi importanti con il suo pubblico. Noi siamo fortunati perché quando siamo su un palcoscenico abbiamo il potere di farci ascoltare attentamente. Attraverso l’arte si possono lanciare dei messaggi molto importanti. Cosa che io faccio: mi dedico, appunto, a tante iniziative, anche benefiche, e collaborazioni con organizzazioni internazionali. Cerco di ritagliare il tempo per fare tutto perché lo ritengo necessario. Non è facile, ma ci provo. Ovviamente il ruolo della musica in queste iniziative è importante perché, ricordiamoci, la musica è un linguaggio universale. Non ha bisogno di parole, no? È un linguaggio che arriva direttamente al cuore e io credo che ognuno di noi abbia una sensibilità. Quindi, parlare attraverso la musica al cuore delle persone è una maniera molto diretta di arrivare. Io penso sempre che se riesco a comunicare anche ad una sola persona un’ispirazione per la vita, un concetto importante, l’universo che può esserci dietro ad una melodia, già ho fatto il mio dovere di artista. Il mio dovere di artista è quello di ispirare il mio pubblico, di cercare di far diventare le persone esseri umani migliori attraverso questa percezione della musica e dei suoi capolavori. Il linguaggio che parla alla nostra anima, parla direttamente al nostro cuore.

New York è sicuramente stata una tappa fondamentale nel suo percorso formativo. Quali messaggi o consigli desidera trasmettere ai giovani musicisti che vorrebbero intraprendere lo stesso percorso e quali sono le sfide che vede nel panorama musicale attuale?

Sicuramente, come ho avuto modo di dire prima, New York per me è stata una città importantissima e lo è tuttora, perché è una città che ti permette di fare tanto, ma bisogna impegnarsi perché la concorrenza è molta ed è molto agguerrita, il livello è molto alto e quindi bisogna essere bravi, bisogna essere competitivi, e per distinguersi bisogna essere unici nel fare determinate cose che nessun altro fa. Inoltre, una piccola confidenza: io scrivo anche poesie e mi considero un’artista a tutto tondo, una creativa. Molto spesso la poesia ispira la musica o viceversa. New York poi mi ha aperto molti orizzonti musicali perché mi ha avvicinato a tante culture diverse. Qui c’è gente da tutto il mondo e proprio attraverso amici sudamericani mi sono avvicinata alla musica sudamericana, ai tanghi di Piazzolla, di cui sono stata la prima a fare trascrizioni per pianoforte e il mio CD Piazzolla Tangos ha vinto la medaglia d’oro ai prestigiosi Global Music Awards in California. Mi sono anche interessata alla musica cubana di Ernesto Lecuona, grandissimo compositore all’epoca quasi dimenticato, e altri compositori non troppo conosciuti al di fuori dei loro confini. Quello che voglio dire è che ho avuto l’occasione di avvicinarmi alla musica sudamericana e centroamericana qui a New York proprio attraverso altri musicisti, andando ai concerti, ascoltando repertori diversi, senza neanche viaggiare in quei luoghi. New York è una città che apre moltissimi orizzonti se sei pronto a tenere gli occhi e il cuore ben aperti alle esperienze. Un messaggio che voglio trasmettere ai giovani musicisti è questo: non basta avere talento per avere successo in una carriera internazionale, perché il talento è solamente il primo passo. Sono necessarie tante altre cose. Prima di tutto lo spirito di sacrificio, perché bisogna fare tanti sacrifici per studiare, per prepararsi, per migliorarsi. Nulla si improvvisa e nulla scende dal cielo come un miracolo. Bisogna veramente lavorare sodo. Bisogna poi avere tanta umiltà, perché è necessaria ed è forse una delle cose più importanti. Così come lo spirito di adattamento, perché viaggiando tantissimo ci si trova in tante situazioni strane, difficili, stancanti. Quando si sta su un palcoscenico bisogna dare il massimo, anche se stiamo male, abbiamo la febbre, siamo di malumore. In quel momento, però, abbiamo il dovere di dare il meglio di noi stessi al pubblico che ci è venuto ad ascoltare e per questo avere il giusto carattere è molto importante. E poi dico sempre: quello che si costruisce sulle proprie gambe appartiene a noi per sempre, mentre quello che ci viene regalato è passeggero, non rimane. Dobbiamo contare su noi stessi, confrontarci con noi stessi, cercare di migliorarci sempre, come artisti e come esseri umani.

Per quanto riguarda le sfide del panorama musicale attuale, la domanda è molto interessante… chiaramente il tempo va avanti e il mondo cambia. Stiamo vivendo un momento di grande espansione tecnologica che ci dà accesso ad un’infinità di materiale online. Faccio una riflessione. Ricordo che quando ero piccola, se volevo comprare uno spartito o un disco dovevo andare in un negozio, spesso ordinarlo, aspettare che arrivasse, ritornare al negozio per prenderlo, tornare a casa e iniziare a studiare o ad ascoltare. Si doveva aspettare del tempo per avere quello che volevamo, un tempo che però generava attesa positiva, e che soddisfazione quando potevamo avere in mano quello che desideravamo! Adesso con un click troviamo tutto su internet, qualsiasi tipo di esecuzione, di spartito musicale. Questo rende le cose molto semplici, forse anche troppo. Non c’è più quella fatica “positiva” nell’ottenere le cose. Ovviamente con la stessa facilità con cui si trovano le cose interessanti e utili, si trovano anche le cose brutte e negative, bisogna stare molto attenti a navigare il mondo del web. Bisogna insegnare ai giovani a stare attenti, a scegliere le cose giuste, ci sono tante insidie… Questa velocità data da internet ci porta però ad avere un’attenzione molto più ridotta. I ragazzi giovani guardano video su tiktok, video brevissimi. Ci stiamo abituando a non avere un’attenzione prolungata. Pensiamo che nell’Ottocento i concerti duravano anche più di tre ore. Adesso sarebbe improponibile fare un concerto per pianoforte di tre ore di seguito. L’umanità sta cambiando e una delle nostre sfide artistiche è quella di essere concisi e di aiutare il pubblico ad “entrare” nella musica che stiamo suonando. A me piace raccontare la musica, i miei concerti non sono solamente musica, ma anche racconti, storie, aneddoti. La musica classica non è musica noiosa o da vecchi. È musica per tutti, e quindi anche per i giovani, solo che stiamo perdendo questa cultura e quindi è necessario aiutare le persone all’ascolto. Io racconto queste storie, illustro quello che le persone andranno ad ascoltare e così facendo porto già il pubblico all’interno del brano, dopodiché suono. Il questo modo il pubblico apprezza molto di più l’esecuzione.

La sfida più grande, però, è sempre quella di mantenere viva la cultura musicale, che purtroppo si va perdendo davanti ad altri interessi. Molto dipende dalla scuola, dalla famiglia, ma sono dell’idea che la musica deve far parte di noi, della nostra educazione. Bisogna partire già dall’età dell’infanzia. Dobbiamo avvicinare i bambini alla musica, perché la musica fa parte di noi ed è una cosa meravigliosa che possiamo avere nella nostra vita, un’addizione che ci può aiutare anche in tanti momenti. Io ovviamente sono di parte perché sono un’artista, però la musica è un’arte che dovrebbe accompagnarci sempre, un’arte che ci avvicina molto a Dio, perché c’è tanto di divino anche nella musica, nell’ispirazione di questi grandi compositori che hanno fatto veramente la storia. Sarà uno spiraglio verso un’umanità migliore, se possiamo tenerla nei nostri cuori e nella nostra anima.

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