Architetto e instancabile promotore culturale, Alberto Sifola di San Martino definisce la sua associazione, Friends Of Naples, un gruppo di volontari “rammendatori”. Tra portoni, cappelle medievali e installazioni contemporanee, ha raccontato l’impegno per la manutenzione e il recupero di un tesoro storico-artistico intorno cui ruota un patrimonio di relazioni, arti e mestieri. Dalla città di Napoli, per dare vita a nuove forme di mecenatismo virtuoso.
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Partiamo dalla “genesi”. Come nasce il progetto Friends of Naples?
L’idea è nata quando ero vicepresidente delle Dimore Storiche Italiane – Sezione Campania. Dopo qualche tempo, insieme alla presidente, abbiamo sentito l’esigenza di non occuparci semplicemente di iniziative culturali, ma anche di agire sul territorio. Il primo intervento è stato realizzato su un portone del 1467, nel palazzo di Diomede Carafa in via San Biagio dei Librai nel cuore di Napoli. Abbiamo deciso di restaurarlo e l’operazione, finanziata anche da privati, è andata a buon fine. Il portone è ancora lì, nonostante continuino a imbrattarlo procurando grande dolore al nostro restauratore che però continua a occuparsene facendo manutenzione. Siamo un gruppo di volontari e, pur di tenere in ordine e rammendare come dico spesso per rendere meglio l’idea, siamo disposti davvero a fare e dare tantissimo.
Perchè “rammendare”?
Perchè per fare un restauro vero e proprio occorre molto tempo, risorse ingenti e una collaborazione tra Istituzioni e privati piuttosto consolidata. Per il momento noi facciamo il massimo sforzo, con il massimo impegno con tutto quello che abbiamo a disposizione, per questo rammendare, nel senso lato del termine.
Dopo questa prima fase vi siete strutturati e la cosa ha avuto sempre più successo.
Dopo l’intervento al portone di San Biagio dei Librai, mi sono reso conto di non poter portare avanti il progetto come Dimore Storiche Italiane, perché la sua mission non è occuparsi di restauri. Pertanto, successivamente abbiamo fondato l’associazione Friends of Naples, ed è stato subito un successo. Il Comune di Napoli dopo qualche tempo ci ha proposto di occuparci della Porta San Gennaro, la più antica di Napoli, che ospita l’ultimo affresco di Mattia Preti per le porte della città. Da questa proposta, si è poi avviato l’iter procedurale con l’amministrazione comunale, con il FAI e la Soprintendenza ai Beni Culturali. Una gran bella soddisfazione.
Da quel momento in poi avete lavorato tantissimo, nemmeno la pandemia ha fermato i lavori di restauro.
Durante il Covid abbiamo portato avanti il restauro di Porta San Gennaro con un restauratore alla volta sull’impalcatura per rispettare le regole anti contagio. Proprio in quel brutto periodo, per una congiuntura del destino, l’affresco originale fu realizzato per ringraziare San Gennaro per aver liberato la città dalla peste. Sul dipinto si possono vedere figure in mascherina che portano via i corpi dei deceduti.
Immagino che per fare tutto questo abbiate dovuto costruire una rete di donatori coinvolti nell’associazione.
Certo, il nostro operato è tutto fatto di relazioni e donatori. La Porta San Gennaro è stata donata in gran parte dall’ACEN, l’associazione dei costruttori edili di Napoli, e da un mecenate privato. In particolare, l’allora presidente dell’ACEN, Federica Brancaccio, decise di devolvere tutti i soldi che sarebbero stati utilizzati per i tradizionali regali di Natale al restauro della Porta.
Il vostro obiettivo principale è quello di valorizzare il patrimonio artistico della città di Napoli?
Assolutamente si, con il massimo sforzo cerchiamo di fare il nostro meglio per portare alla luce e manutenere le meraviglie della nostra città. Bisogna considerare tutti gli scogli che troviamo sulla nostra strada. Ci troviamo in un periodo storico di grandi progetti: il grande progetto di Palazzo Fuga, del museo, delle linee metropolitane, e noi siamo felicissimi. Però basti pensare che anche le stazioni della metropolitana hanno bisogno di manutenzione. Ad esempio, con un altro nostro intervento, abbiamo ripulito delle sculture nella stazione di Materdei. Spesso siamo impegnati a combattere la convinzione che più rimandi la manutenzione ordinaria e più risparmi. E invece è esattamente il contrario. Prima intervieni, più risparmi. Più vai in là nel tempo, più la cifra per il restauro aumenta e soprattutto si perdono pezzi. Occorre un’inversione di tendenza in tal senso.
Il vostro successo è arrivato anche ad artisti che hanno scelto di fare donazioni.
Il cantante Tropico ci ha regalato un bonus su ogni biglietto da lui venduto per il concerto che ha tenuto a Napoli. Ci ha cercato lui. È rimasto colpito dopo aver visto un restauro che è tutt’ora in corso su delle statue in terracotta che si trovano nella chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, risalenti al 1490 e realizzate da Guido Mazzoni.
Per i vostri lavori sono coinvolti restauratori locali?
Un aspetto centrale della nostra missione è proprio quello di dare lavoro alle nostre eccellenze. Ci impegniamo sempre per valorizzare i nostri artigiani, ed è soprattutto per questo che non ci siamo mai fermati e abbiamo trovato il modo di andare avanti anche durante la pandemia. I nostri artigiani sono raffinatissimi, bravissimi. Sono in grado di fare cose che è difficile veder fare con tale dovizia altrove. Secondo me è doveroso, da parte dei cittadini, dare una mano e un contributo concreto ai mestieri storici napoletani. Vogliamo che i nostri artigiani lavorano, siano felici e che la loro passione non venga frustrata, in modo da tramandare ai figli la loro arte.
Da un punto di vista delle relazioni con le Istituzioni sul territorio, qual è il successo più grande finora raggiunto?
Siamo molto felici che la Soprintendenza in qualche maniera ci tenga in considerazione e faccia il possibile per darci sempre una mano, magari avviando anche in modo rapido le procedure d’urgenza tramite i loro funzionari ogni volta che abbiamo avuto bisogno.
Qual è il suo auspicio più grande per il prossimo futuro?
L’augurio è quello di superare quel modo di pensare che se uno fa una cosa, l’altro gliela deve demolire soltanto perché non l’ha fatta lui. È molto più bello invece vedere che si muovono tutti insieme e che arrivano donazioni anche dall’estero. Vorrei sensibilizzare anche gli emigrati napoletani e i loro discendenti, vorrei portare a bordo tutti i pizzaioli di New York venuti da Napoli e così via. Mi piacerebbe partire innanzitutto da chi fa i lavori più semplici, perché lo storico dell’arte è sicuramente più facile da sensibilizzare. Vorrei che arrivasse qualcuno da qualche parte nel mondo a dirmi: “sono napoletano, i miei nonni sono partiti dall’Immacolatella e voglio donare per recuperare il patrimonio artistico dei miei avi”. Non è impossibile, è già successo una volta. Con venti piccoli donatori dall’estero, mettiamo a posto un affresco o quello che i donatori stessi scelgono di recuperare.
L’articolo Alberto Sifola di San Martino, l’arte di “rammendare” la bellezza proviene da IlNewyorkese.