Dopo una lunga giornata di attesa, soprattutto per lui, Matteo Salvini, imputato nel processo Open Arms, il verdetto è arrivato. In tempo in tempo per il TG delle 20. Battute a parte, era importante il merito, la cosa, la decisione dei magistrati. Bene, i giudici di Palermo, secondo me a sorpresa, hanno assolto perché il fatto non sussiste l’ex ministro degli interni del governo Conte I, accusato di sequestro di persona e falsificazione d’atti d’ufficio per non aver fatto sbarcare gli immigrati della nave ONG che ha dato il nome al processo.
Vince la Lega e vince l’Italia, ha commentato il capo del Carroccio prima dell’abbraccio giusto e affettuoso con la compagna Francesca Verdini. Perché poi vince anche l’uomo, la persona, al di là del ruolo politico che aveva all’epoca dei fatti e che ha oggi. Se fosse stato condannato, politicamente, Salvini ne sarebbe uscito comunque più forte. Dentro la Lega, chi è che non sarebbe stato solidale col capo condannato, e nel governo, con alleati chiamati alla solidarietà sui temi della giustizia e dell’immigrazione.
Però così Salvini ha vinto in toto: difendere i confini dell’Italia, per di più in un mandato programmatico governativo, non è un reato. E diciamolo chiaramente, questo processo era un obbrobrio giuridico e politico. Valeva solo per la tentazione di danneggiare un avversario politico per la via giudiziaria. Una via che mostra, dopo tanti anni e tanti misfatti, un po’ di stanchezza storica.
Se aggiungiamo all’assoluzione di Salvini quella di Renzi (per il caso Open senza Arms) possiamo dire che i due leader più forti degli ultimi dieci anni prima dell’avvento della Meloni ritrovano, nelle loro differenze – sofferenze, una nuova era personale e pubblica.
Vince allora anche la giustizia, per come dovrebbe essere. E non è una cattiva notizia per la nostra democrazia.
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