Politica e giustizia, la resa dei conti

Sono stato 32 anni in Mediaset. Fui assunto nel 1988 da Galliani e Berlusconi. Ho fatto il cronista, l’inviato, il direttore, l’anchorman, l’opinionista. Un lunga bellissima storia contrassegnata da tante battaglie mediatiche e politiche, in primis, da Tangentopoli in poi, quella sul rapporto con la magistratura, o meglio con una sua parte ideologizzata. Ovvio che un pezzo del Mainstream italiano sostiene che il problema fosse Berlusconi e non lo strapotere dei giudici, ma con questa storiella dell’autonomia minacciata si nasconde un’altra verità che va al di là della singola figura politica finita in conflitto.

Dopo Tangentopoli il rapporto fra i poteri della Repubblica non è stato più in equilibrio. Quell’equilibrio che i padri costituenti vedevano non solo come garanzia di un non ritorno di una dittatura, ma anche come cardine del funzionamento di una democrazia. In questi giorni la sentenza che ha fatto rientrare i 14 immigrati portati nel centro che il governo ha voluto in Albania ha riacuito quella ferita. Ma chi è che deve governare la questione immigrazione, l’esecutivo e il parlamento o la magistratura a colpi di sentenze più o meno ideologiche?

La Meloni promette battaglia a colpi di decreti, i giudici si sentono aggrediti e chiedono la copertura del capo dello Stato che invita alla calma e al dialogo. Ma il dialogo non ci può essere più. La sempre rimandata organica riforma della giustizia deve essere fatta e la politica deve recuperare, senza strafare, il suo primato nella gestione dei problemi della polis. Questo è il mandato che le hanno dato i cittadini. Ogni interferenza, al netto di violazioni che sempre vanno punite, conviene che venga respinta.

Come finirà? Ci sono le condizioni storiche e i numeri, perché la lunga stagione di Tangentopoli vada in soffitta. Ci vuole però, come diceva il cantante Carboni, un fisico bestiale…

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