In primis la sicurezza e la salute dei cittadini. Quindi tenere sotto controllo l’alluvione che ha colpito di nuovo la Romagna sotto il profilo dei soccorsi e della tutela delle vite umane. Solo dopo aver detto questo possiamo occuparci delle polemiche. Romagna rossa contro avvoltoi neri, così hanno titolato i giornali di sinistra, fallimento della post-Communist Valley, hanno risposto i giornali governativi.
Il Ministro della protezione civile Musumeci è stato duro: non sono stati spesi i soldi che lo Stato ha stanziato; non è così, rispondono gli amministratori locali e la segretaria del PD Schlein, semmai i soldi sono bloccati al Ministero e poi non si strumentalizzi, insomma, la situazione sulla pelle degli alluvionati. Chi ha ragione e chi torto? Direi tutti e nessuno, perché in Italia si guarda sempre all’entità degli stanziamenti e a chi deve gestire il Potere dei soldi e mai, o quasi, a come quei soldi devono essere messi a terra e in che tempi. È qui che la burocrazia diventa letale sia a livello statale che regionale, diventa la principale nemica.
Nemica perché manca una visione culturale unica del problema, che è la manutenzione del territorio. Una priorità solo nei giorni della tragedia: ricordate le analisi, i reportage, gli appelli quasi ossessivi nella primavera del 2023 e poi, però, la burocrazia e lo scontro delle competenze vince sempre. Se poi le piogge torrenziali – ma basta parlare di climate change in astratto: ormai abbiamo capito che il clima è cambiato, fate qualcosa di strutturale semmai – colpiscono lo stesso territorio fragile a distanza di poco più di un anno causando gli stessi danni, più o meno, allora c’è qualcosa che non va.
La fragilità non è più delle natura ma dell‘uomo che non la sa governare. La fragilità è della politica che perde la sua funzione di governo della realtà. Gli invasi per i fiumi, previsti nel 1998 e invocati nel 2023, vanno fatti. E in fretta. Chi ha sbagliato o dormito si metta la mano sulla coscienza.
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